Diritto al Turismo

Gianluca Rossoni, Avvocato - Docente di Legislazione del Turismo

La validità giuridica dello sconsiglio

27/05/2014
15:43
Leggi anche: Farnesina, sconsiglio

“Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvo gli obblighi di legge” (Articolo 16, II Comma della Costituzione italiana). È opportuno tenere a mente tale principio fondamentale per vincere le numerose richieste formulate dai consumatori agli operatori del settore, in relazione al valore dello sconsiglio a visitare destinazioni a rischio manifestato in più occasioni dal Ministero degli Affari Esteri attraverso il servizio Viaggiare Sicuri.

In primo luogo lo sconsiglio è una raccomandazione e non ha valore di un divieto paragonabile ad una causa forza maggiore per atto imperativo  dell'autorità pubblica (i Romani lo chiamavano factum principis) tale da determinare la risoluzione del contratto.

Fermo restando che l'organizzatore è perfettamente in grado di fornire la prestazione promessa presso la destinazione a rischio, il consumatore, salvo gli obblighi di legge (es. è un militare o ha impedimenti soggettivi penali ad uscire dal territorio italiano), è ben libero di ricevere tale fornitura già prenotata e confermata, senza che sia intervenuto alcun effetto giuridico sul contratto.

Ne deriva che qualora lo sconsiglio venga manifestato prima dell'esecuzione del viaggio ormai acquistato e confermato, i consumatori non hanno in mano automaticamente un diritto di usufruire di un altro pacchetto turistico o di ottenere il rimborso delle somme versate.

Se, infatti, non è intervenuta alcuna cancellazione da parte dell'organizzatore, non si potrà ignorare che lo sconsiglio incide tanto  sul consumatore quanto sull'organizzatore stesso, essendo scaturito da una causa indipendente dalla volontà di entrambi le parti.

Se dunque tale causa non determina la risoluzione immediata del contratto, tuttavia reca con sé un effetto giuridico relativo alla valutazione della buona fede e la buona cooperazione delle parti contrattuali nel gestire la situazione di fatto venutasi a creare.

Tale principio di buona fede, da un lato impedisce che il caso sia trattato alla stregua di mera volontà del consumatore di non partire con la conseguente inapplicazione delle penali previste per la cancellazione. Dall'altro, dovranno essere proposte al consumatore soluzioni alternative di valore e contenuto simili a quella originariamente acquistata, di prassi con un assorbimento del maggior costo a carico dell'organizzatore nell'ipotesi che la proposta alternativa sia del 10-15% eccedente il valore del pacchetto originario.

Di contro, il consumatore non avrà in mano un diritto unilaterale, dovendo anch'egli comportarsi secondo buona fede nell'accettare la soluzione alternativa (difficilmente potrà essere rifiutata un'altra destinazione “mare” per pari data) e soprattutto nel motivare l'eventuale rifiuto (l'impossibilità di cambiare il piano ferie dovrebbe essere accompagnata da idonea documentazione).

Qualora, infine, risultasse giustificato il diniego alla destinazione alternativa in base alla buona fede, l'organizzatore potrà decurtare dal rimborso quei costi dimostrabili in via documentale già sofferti per aver pagato i propri fornitori e le spese di gestione della pratica oggettivamente proporzionali per l'attività svolta, soprattuto in rapporto a quando sia intervenuta l'autorità pubblica rispetto alle date di acquisto e di partenza del pacchetto turistico, ormai sconsigliato.

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