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Roberto Gentile,
Editorialista turistico, esperto di retail, community-manager, head-hunter

Cosa pensano gli italiani di se stessi, e cosa pensano i cinesi degli italiani

06/04/2023
11:18
 

Come stanno gli italiani? Come si sentono, in questi tempi travagliati? Malinconici, come spiega il 56^ Rapporto CENSIS sulla situazione sociale del Paese/2022.

“La malinconia è il sentimento che definisce meglio il carattere degli italiani, in questo momento. Malinconia, non tristezza. Si è malinconici al crepuscolo, di fronte al tramonto, quando il giorno volge al termine. ‘É finita l’era dell’abbondanza’ ha annunciato tempo fa il presidente Macron. É finita l’era delle sicurezze, aggiungo io”. L’io corrisponde al direttore generale del CENSIS, Massimiliano Valerii. “Ci rendiamo conto di essere esposti a rischi globali fuori dal nostro controllo: prima la pandemia, poi il conflitto in Ucraina, ora l’inflazione e le risorse energetiche considerate non più illimitate. Insicurezze acuite dalla percezione dell’arresto dell’ascensore sociale, quello che ha permesso che i figli dei contadini e degli operai potessero elevarsi e contribuire a formare il grande ceto medio italiano”. Quello che ha reso l’Italia, da povera e ignorante qual era - dopo la seconda guerra mondiale - uno dei Paesi più ricchi dell’Occidente.

Siamo malinconici, quindi, ma non tristi. E preoccupati più per le nuove generazioni, che per noi, visto il futuro che si para loro davanti. Sentimenti controbilanciati dall’ottimismo (quello è nel nostro DNA da sempre) e da una parvenza di felicità, che sebbene ci collochi solo al 33esimo posto nel mondo (vedasi il Global Happiness Index 2023 dell’istituto di ricerche Gallup, che sul podio colloca Finlandia, Danimarca e Islanda), è ben maggiore della felicità che provano brasiliani e turchi, russi e cinesi.
 
Ecco, a proposito dei cinesi. Cosa pensiamo noi di loro? E loro di noi? A rivelarcelo uno dei massimi esperti della materia, il titolare di Mistral T.O. Michele Serra. “La percezione che oggi abbiamo della Cina è orrenda. Il ‘sentiment’ è terribilmente negativo: la gestione della pandemia, prima, e il non allineamento ai Paesi occidentali sull’invasione dell’Ucraina, poi, hanno letteralmente allontanato i cinesi dai nostri orizzonti” annota impietosamente Serra. “Non che prima del 2020 le cose andassero meglio, perché lo sfruttamento dei lavoratori nella ‘fabbrica del mondo’ e il tradimento del patto su Hong Kong ‘Un Paese, due sistemi’ aveva già messo in cattiva luce un Paese del quale gli italiani, da ‘L’ultimo imperatore” di Bertolucci (1987) e ‘Lanterne rosse’ di Zhang Yimou (1991) in poi, si erano letteralmente innamorati”.  

E cosa pensano i cinesi di noi, gli siamo più antipatici di prima? “Tutto il contrario. I cinesi adorano gli italiani, non vedono l’ora di tornare a visitare il Belpaese. Gli italiani sono apprezzati  come popolo (in primo luogo, perché non facciamo guerra a nessuno, e perché facciamo affari con loro), poi perché il nostro stile di vita è il più ambito al mondo. Siamo simpatici, informali, accoglienti. Amiamo il buon cibo, beviamo ottimo vino, scriviamo bella musica - da Puccini a Ramazzotti - , ci vestiamo meglio di tutti, le nostre città sono affascinanti e sicure”. Come dire, siamo i campioni del “soft power” (espressione con la quale il politologo USA Joseph Nye definì l’abilità nella creazione del consenso attraverso la persuasione e non la coercizione). “Piuttosto” puntualizza Serra “i cinesi non capiscono perché il loro sentimento nei nostri confronti non sia ricambiato: ‘Come, noi vi amiamo e a voi stiamo antipatici?! Non ce lo meritiamo!”.

Replico a una facile obiezione, anche di metodo: confrontare le analisi del CENSIS con il percepito dei cinesi non ha alcun senso, accademicamente parlando. Anche perché “ognuno percepisce la realtà in maniera diversa, la verità sta negli occhi di chi guarda” come affermava il regista di “Rashomon” (1950), Akira Kurosawa. Che però era giapponese. Altra storia.


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