Agenzia e tutele legali
Il caso di Silvia Farano

di Gaia Guarino
18/02/2020
08:35
 

Agenti di viaggio e tutele legali. Un tema spinoso che apre scenari spesso dolorosi per i professionisti della distribuzione. Un viaggio è un bene particolare con dinamiche di vendita proprie, un prodotto che oltre ad avere delle implicazioni economiche è carico di un valore morale a volte addirittura superiore a quello materiale. E se l'adv è il sarto che disegna e cuce questo 'capo su misura' per il proprio cliente, può facilmente diventare anche il capro espiatorio di spiacevoli inconvenienti.

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La storia di Silvia Farano, titolare di Hortensia Viaggi, a Milano inizia nel maggio del 2015, quando una coppia le chiede l'organizzazione di un viaggio in Thailandia. "Si trattava di un cittadino italiano e di una persona di El Salvador con passaporto del suo Paese di origine", racconta.

"Ho predisposto loro il pacchetto e vedendo che uno dei due era un cittadino extra UE, nonostante il t.o. dicesse che non avrebbero dovuto esserci problemi per entrare in Thailandia, ho suggerito - mandando un'e-mail al cliente - di rivolgersi al consolato per saperne di più".

Le norme in vigore
Secondo il codice del turismo, fino all'entrata in vigore della direttiva pacchetti del 2018, non era infatti compito dell'agenzia occuparsi della posizione giuridica relativa alla necessità o meno di un visto per l'espatrio dei cittadini extracomunitari.

Trascorre qualche mese, i clienti si presentano in agenzia per il saldo e a Capodanno partono per il loro soggiorno in Asia. "Arrivati a destinazione, il salvadoregno viene fermato e ammanettato per mancanza di visto", prosegue Silvia. "I due sono così costretti a tornare in Italia, io apprendo l'accaduto ma forte di quanto dettato dal nostro codice di settore mi sento automaticamente scagionata".

Le cose però vanno diversamente. La coppia, tramite lettera dell'avvocato, pretende da Hortensia Viaggi il rimborso totale della vacanza, rovinata per mancanza di informazioni. Ma la Farano sa che l'errore non è suo. "È stato l'inizio di un incubo durato quattro anni", spiega. "Siamo finiti a processo, udienze su udienze per uscirne sconfitta. Il giudice mi ha imputato la colpa dichiarando il codice civile fonte superiore al codice del turismo, precisando che a prescindere dalla cittadinanza del mio cliente, avrei avuto il dovere di approfondire il suo caso e informarlo in merito alle modalità di ingresso in Thailandia".

A essere contestata, la mancanza di una dicitura specifica sul contratto, anche solo una frase che spingesse a verificare i documenti di espatrio, e l'insufficienza come prova testimoniale, dell'e-mail inviata mesi prima.

Un conto salato
Hortensia Viaggi si è dovuta fare carico dell'intera restituzione dell'importo del viaggio, 5mila euro di danni morali e 4mila di spese legali della controparte per un totale di circa 13mila euro. "Per un agente di viaggio italiano è tantissimo, considerando i margini che abbiamo", sottolinea.

Non è ovviamente mancato il confronto con i colleghi, da cui sono emersi altri casi. "Non siamo tutelati - rimarca Silvia -. Quello che mi ha tratto in inganno è stata la duplicità di interpretazione del codice del turismo, la totale perdita di efficacia davanti al codice civile".

E se da una parte Silvia Farano, con amarezza, lascia le valutazioni legali a chi è competente in materia, manda un monito. "Siamo fragili perché fragile è la nostra industry. Siamo soggetti al terrorismo, alle calamità naturali, alle epidemie e quant'altro; possiamo perdere molto e in poco tempo. Personalmente - conclude - ho il diritto di continuare ad andare avanti senza mollare perché Hortensia Viaggi oggi sono io".


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