Ci sono voluti quasi trent’anni per avere un piano nazionale aeroporti che recepisse indirizzi comunitari, logiche industriali e logiche tecniche. Adesso si scatenerà ogni tipo di polemica e alla fine, ne sono quasi certo, ai 31 scali indicati dal cosiddetto Piano Passera se ne aggiungeranno altri.
La conferenza Stato-Regioni prima, qualche ineffabile Tar poi, pressioni politiche, spinte di campanile e di tangenti faranno il resto e tra due o tre anni gli scali di interesse nazionale saranno diventati 40 o 50, vanificando ogni tentativo di razionalizzazione o riordino.
Non mancheranno gli appelli di esperti e consulenti di turismo che riferiranno dell’impossibilità di sviluppare aree in assenza di aeroporti. Tecnicamente tutte balle: a fare la differenza vera sono i collegamenti dagli scali alle aree, ma su quelli non si assegnano poltrone e soprattutto sono soluzioni di lunga durata, contrarie alla logica dell’investimento continuo, degli appalti ripetuti nel tempo, con tutte le automatiche belle cose che ne conseguono.
A ben guardare il piano un difetto comunque c’è. Chiude, nella più italica delle tradizioni, la stalla dopo che i buoi sono scappati. Blocca la realizzazione di nuovi scali dopo che tanti sono stati costruiti, inutilmente ammodernati e dopo che immense quantità di denaro pubblico hanno ripianato buchi assolutamente prevedibili fin dall’inizio.
Il trasporto aereo non è scienza esatta ma poco ci manca, sicuramente è uno dei cardini strategici dello sviluppo di una nazione, dunque ben venga un piano di questo tipo.
Altro che Viterbo, aeroporto della Tuscia. Ma dai, siamo seri!