Il turismo culturale deborda. Non passa giorno che qualche illustre luminare di solida competenza non si esponga sul tema: bisogna investire, mettere a sistema, strutturare, bisogna riscoprire beni, rendere fruibili i patrimoni, mettere in rete. Le solite ricette generiche e inutili. Nessuno dice che per lo sviluppo del turismo culturale mancano semplicemente due condizioni di base: la competenza e i soldi.
La competenza di chi oggi gestisce i patrimoni, i musei, le gallerie. Competenza inesistente sul fronte del marketing se non in rarissimi e isolati casi. D’altro canto si tratta di persone chiamate non tanto a gestire i contenitori bensì il contenuto. Uscirne sarebbe semplice, basterebbe mettere, dove possibile, un direttore artistico e un direttore marketing, ovviamente pari grado. Dove impossibile un direttore capace di gestire i due temi con pari dignità e attenzione.
La mancanza di fondi, cronica ma accentuata da tagli sempre più cospicui, affonda le sue radici in un patrimonio vasto e in un mecenatismo carente. La politica ha gestito e gestisce i contributi sul territorio, sappiamo tutti come, e le grandi imprese utilizzano le fondazioni per fini molto meno nobili rispetto a quanto dichiarato.
Come se non bastasse il fundraising non è un’attività culturalmente accettata nel nostro Paese. E dire che ne siamo stati gli inventori. Oggi viene demonizzata a prescindere e forse a ragione: in tanti casi e per troppi anni ha alimentato progetti e situazioni tutt’altro che trasparenti.
Senza soldi e senza competenze non si va da nessuna parte. Ma tanta evidenza non basta a far desistere gli illustri luminari a fornire ricette su ricette, specie quando tira aria di elezioni o di nomine, o più semplicemente quando bisogna inventare un qualche fondo milionario per giustificare spese inutili.
Inutili al turismo s’intende.