Viaggi di marketing

Paola Tournour-Viron, divulgatrice per professione e per passione

Ma davvero i cataloghi turistici non servono più? Due ragioni scientifiche per ripensarci

15/01/2021
10:35
 

Costano, sono uno spreco di carta, non sono aggiornabili con l’immediatezza di un sito web. Sui cataloghi di viaggio si è detto questo e molto altro. Tutto vero e condivisibile. Anche se, al di fuori delle considerazioni gestionali più spicciole, esistono un paio di ragioni profonde che spiegano quanto in realtà per un utente sia – spesso inconsciamente – importante portarsi materialmente a casa ‘qualcosa di noi’. Tutto questo non senza un reciproco vantaggio.

La prima ragione ha in un certo senso a che fare con la psicologia e si rifà allo psicoanalista inglese Donald Winnicott, teorico dell’Oggetto Transizionale. Secondo Winnicott, gli oggetti sarebbero in grado di generare intense relazioni affettive con il loro possessore fin dalla più tenera età, come ben testimoniano pupazzi e coperte che i bambini tengono per lungo tempo al proprio fianco. Questo genere di relazione non si esaurirebbe tuttavia con l’età infantile ma proseguirebbe nel tempo. Per gli adulti come per i bambini il valore degli Oggetti Transizionali sta infatti nella capacità di rassicurare rispetto all’atavica e insopprimibile paura umana di essere abbandonati o trascurati dall’“altro”. Per estensione, dunque, un catalogo ricevuto dopo una visita in agenzia, a un territorio, a un museo o a un qualsiasi luogo in cui ci si è sentiti a proprio agio potrebbe servire a rinnovare il piacere della relazione che con essi si è instaurata. La sua materialità renderebbe inoltre più duratura, concreta e tangibile la connessione con l’“altro”.

Se, poi, questo “altro” possiede un’identità ben definita e coincide con il donatore dell’oggetto, entra in gioco la seconda ragione che confermerebbe l’importanza di continuare ad omaggiare il cliente dei nostri cataloghi. In questo caso la materia di riferimento è l’antropologia, cui si rifà il celeberrimo Saggio sul Dono di Marcel Mauss. L’introduzione curata da Marco Aime – altro antropologo di fama – mette bene in luce alcuni aspetti interessanti ai fini del ragionamento. Intanto premette che, anche sotto il profilo antropologico, fin dalle origini dell’Uomo “donare è importante (…) per instaurare relazioni”. Tuttavia, aggiunge, “il dono non è una prestazione puramente gratuita, né uno scambio puramente a fine di lucro, ma una specie di ibrido”. E qui il tema si fa interessante, perché di norma accade che chi riceve qualcosa in regalo sente in qualche misura il dovere di contraccambiare, innescando così un circolo relazionale virtuoso. Secondo Mauss ciò dipenderebbe dal fatto che “negli oggetti donati esiste un’anima che li lega a colui che li dona. E tale forza fa sì che ogni oggetto prima o poi tenda a ritornare (…) sotto forma di altri doni equivalenti”.

Riassumendo per necessità di sintesi (e rimandando per eventuali approfondimenti a opere e scienziati citati), potremmo dunque concludere che lasciare a un ospite o a un visitatore un nostro catalogo – realizzato con l’intento di farne un oggetto-regalo e non un mero strumento commerciale corredato di prezzi che ne svilirebbero la funzione di dono (per questo restano valide e utili le integrazioni via web) - potrebbe rivelarsi un gesto ripagato con la riconoscenza della controparte. Ovviamente il lieto fine non è imprescindibile e neppure necessariamente immediato.
Per non creare false illusioni Aime puntualizza a questo proposito che il valore del dono sta proprio nell’assenza di garanzie per il donatore. Ricevere in cambio un controdono non è insomma una certezza assoluta, ma una libera scelta della controparte. “Il valore del controdono – sottolinea infatti l’antropologo - sta proprio nella libertà: più l’altro è libero (di contraccambiare n.d.r.), più il fatto che ci donerà qualcosa avrà valore per noi. Quando ce lo darà”.


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