Le agenzie di viaggi del 2015 non sono soltanto sempre meno, ma sono anche sempre più piccole.
È un altro effetto della crisi: le prime agenzie a sparire sono state quelle grandi, come dimensioni e come costi, soprattutto in città e metropoli. Quelle più modeste hanno resistito meglio, magari in provincia, ma ora si trovano con più vetrine e scrivanie del necessario. I negozi nati negli ultimi anni sono già piccoli di per sé, con un paio di postazioni e poche decine di metri quadri a disposizione.
Vendere viaggi e vacanze è sempre stata un’attività artigianale, spesso a gestione familiare. Facevano eccezione le agenzie che emettevano biglietteria, soprattutto aerea, per le aziende e nei grandi agglomerati industriali come Milano e Torino: ma internet e la concentrazione in poche grandi BTO (da Carlson Wagon Lit ad AmEx) ha falcidiato pure quelle.
Escluse le poche “ancora grandi”, quindi, due sono le tipologie di agenzie che mi càpita d’incontrare: quelle che grandi lo sono state, ma che oggi hanno ridotto spazi, spese e personale, e cercano di trovare una propria strada per restare sul mercato. Quelle fondate pochi anni fa, spesso da neofiti del settore, che i tempi d’oro non li hanno mai vissuti e quindi hanno aspettative e obiettivi in scala ridotta.
Per entrambe, vale il detto che fare l’agente di viaggi è e resta un bel mestiere. Gratificazione morale che giustifica, almeno in parte, i sacrifici.
Le conseguenze di tutto questo pesano soprattutto sul titolare dell’attività, che - stritolato dal cuneo fiscale e incerto sul futuro - rinuncia volentieri a un dipendente, coinvolge la famiglia e - per far tornare in conti, si fa in tre (se non in quattro...).
Effetto Lilliput, mi vien da dire, citando i minuscoli lillipuziani, nei quali Gulliver s’imbatte all’inizio del suo viaggio, che pure sono in grado di catturarlo e legarlo al terreno mentre sta dormendo. Come gli agenti di viaggi: piccoli, ma molto risoluti.
